La vita interrotta di una bambina nella Shoah
“Un conto è guardare e un conto è vedere, e io per troppi anni ho guardato senza voler vedere”.
E’ una testimonianza importante quella di Liliana Segre che troviamo in queste pagine. Parola dopo parola riviviamo l’orrore della Shoah, “catastrofe, distruzione” in lingua ebraica.
In uno dei periodi più tragici della storia che ha visto, tra gli altri, l’eliminazione di circa i due terzi degli ebrei europei, Liliana Segre e la sua famiglia sono vittime della ferocia antisemita, l’odio irrazionale verso il popolo ebraico.
In questo racconto-testimonianza mette in risalto la discriminazione, l’invisibilità, le persecuzioni razziali che la porteranno oltre i cancelli dei campi di concentramento.
Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della Stazione di Milano al campo di concentramento di Auschtwitz-Birkenau in Polonia dove fu subito separata dal padre Alberto; rimase prigioniera fino al 1 maggio 1945 quando venne liberata nel campo di Malchow.
Liliana Segre è tornata a casa trovando un Paese appena uscito dalla guerra, ed un ambiente familiare in cui faticava a trovare orecchie disposte ad ascoltarla. Queste le sue parole:
“Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall’inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza”.
Negli ultimi 30 anni è stata testimone della Shoah, con documentari, libri ed interviste. Un percorso che l’ha vista entrare direttamente nelle scuole dove ha descritto agli studenti gli orrori vissuti
«Agli studenti e ai giovani dico: non sottovalutate mai la potenza dell’odio, imprimete nella mente le parole che ascolterete oggi e fatene un faro e una guida»”
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